La Colpa Non è (Sempre) Nostra: 5 Spunti di Riflessione per Analizzare la Responsabilità nell’Insuccesso
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Nell’epoca di performance e competizione come valori assoluti, dove il fallimento è vissuto come una vergogna personale, l’insuccesso non rappresenta più un’occasione di apprendimento ma diventa un marchio rosso di inadeguatezza, specialmente in ambito lavorativo: sempre più spesso si tende a colpevolizzare il singolo. Ma se è giusto evitare il vittimismo cronico ed un opportunistico “scaricabarile”, è altrettanto pericoloso cadere nell’estremo opposto: l’ (auto)accusa sistematica.
La convinzione di essere sempre colpevoli o la tendenza a credere ad occhi chiusi a chiunque ci voglia necessariamente convincere che la responsabilità sia sempre nostra, può diventare una trappola invisibile, portandoci a sviluppare un profondo senso di inadeguatezza e di autoesclusione, convincendoci di non essere abbastanza, e creando un circolo vizioso di insicurezza e inefficienza, con gravi conseguenze sulla salute mentale e sulla carriera.
Ma come distinguere – in modo lucido – tra responsabilità intrinseca ed estrinseca? Alcuni spunti di riflessione:
1. Ascoltiamo il nostro linguaggio (sia esso interiore o esteriore)
Frasi come “è sempre colpa mia”, “non valgo abbastanza”, “non so fare nulla”, sono il segnale che la nostra capacità di autoanalisi non è obiettiva ma distorta già in partenza.
2. Analizziamo i fattori oggettivi
Chiediamoci sempre: risorse, tempo, supporto, informazioni, erano sufficienti per raggiungere l’obiettivo? Se la risposta è no, può essere utile approfondire i perché, ma in generale – se mancano condizioni di base – è probabile che il fallimento non dipenda (solo) da noi.
3. Consideriamo tutto il contesto
A volte le dinamiche aziendali, le scelte dei vertici o – ancor più in generale – l’andamento del mercato esterno, giocano un ruolo decisivo. Ignorare sistematicamente questi fattori implica isolarsi e scindersi da una realtà che, a dirla tutta, è principalmente collettiva.
4. Affidiamoci sempre ai feedback, mai ai giudizi
Confrontarci con persone sincere ed equilibrate è fondamentale. Diffidiamo invece di chi parte dal presupposto “tuo fallimento, tuo errore”, perché la realtà non è mai riducibile a quattro parole e una virgola. Ricordiamoci sempre che il feedback è reciproco, il giudizio è unidirezionale.
5. Evitiamo le interpretazioni morali
“Fallire” non è uguale a “essere falliti”. È un evento, non un’identità.
Imparare a riconoscere con lucidità i molteplici possibili fattori di un insuccesso e attribuire in modo corretto le responsabilità non è un esercizio di autogiustificazione né tantomeno di autoaccusa, ma un atto di profondo equilibrio e consapevolezza. Solo così si può crescere davvero.
I contenuti espressi sono frutto esclusivo di riflessioni personali e sono basati su esperienze individuali, professionali e umane. Il presente articolo non ha carattere scientifico né si basa su dati empirici. Non si intende sostituire analisi specialistiche né fornire verità assolute.